Oggi l’influenza stagionale spaventa più del Covid-19. Ma non sono i tassi di mortalità che allarmano (i dati sono in linea con le attese e le medie del passato prepandemico) quanto piuttosto la situazione emergenziale che si è vissuta e si sta ancora vivendo nei pronto soccorso di tutta Italia per affrontare quello che dovrebbe essere in realtà uno scenario ordinario. A quattro anni di distanza dallo scoppio della pandemia, questo inverno si è registrato un autentico paradosso: i contagi da Sars COV-2 e i ricoveri per sindromi respiratorie e polmonari ad esso riferite sono crollate (al netto di picchi isolati in alcune zone del Paese), ma i reparti di emergenza si sono comunque intasati e il personale è arrivato allo stremo delle forze.
E così, mentre dalla Federazione italiana delle aziende sanitarie e ospedaliere (Fiaso) fanno sapere che al momento il Covid-19 è statisticamente quasi irrilevante tra i patogeni respiratori che circolano nella popolazione, dalla Società italiana di medicina di emergenza urgenza (Simeu) parlano invece di ospedali e aziende sanitarie sotto assedio in tutta Italia, con conseguenti dilatazioni dei tempi di attesa per i pazienti. Non solo, con le ambulanze ferme ad aspettare di poter consegnare i malati nelle mani dei medici ospedalieri, si sono allungati anche i tempi medi di intervento per andarne a soccorrerne di nuovi. A Roma, dove comunque il calo dei ricoverati per Covid è stato del -43% rispetto a un anno fa, nei pronto soccorso risulta un’attività superiore del +30% rispetto ai tempi pre-Covid. In tutto il Lazio si è arrivati ad avere anche 1100 pazienti in attesa di un posto. Oltre 500 in Piemonte, mentre in Lombardia sono stati addirittura sospesi i ricoveri ordinari a causa del sovraffollamento. Ma da Nord a Sud la situazione è critica ovunque. Quella di quest’anno è stata, a detta degli esperti, una delle influenze stagionali più virulente degli ultimi decenni, che ha costretto al letto con la febbre e problemi gastro-intestinali 15 milioni di italiani, oltre che fatto lievitare le chiamate al 118 e i ricoveri in ospedale.
Il presidente dell’ordine dei medici di Roma, Antonio Magi, ha spiegato che il problema dell’incremento a gennaio dei tassi di contagio della comune influenza può essere riconducibile anche all’abbandono delle pratiche cui eravamo abituati negli scorsi anni, durante la crisi pandemica. Un esempio su tutti è l’uso delle mascherine, ormai dai più abbandonate. Come tutti gli altri inverni inoltre, gli spostamenti su e giù per la Penisola e anche all’estero durante le festività, sommati al contatto stretto con i bambini, che poi sono tornati a scuola a gennaio, hanno accelerato moltissimo la diffusione del virus influenzale, colpendo tutte le fasce di popolazione. Nell’ultimo mese si è registrato il picco dell’epidemia un po’ ovunque e solo nelle scorse settimane i numeri hanno iniziato a calare. Nel frattempo però molti medici e infermieri tra dicembre e gennaio hanno passato un vero e proprio calvario, come non si vedeva dai tempi del lockdown, con turni massacranti, stress e rischi per la propria salute.
Al di là dell’aumento del numero delle persone che hanno avuto bisogno di cure, a creare i maggiori problemi nelle corsie d’ospedale e nei pronto soccorso è stata più di ogni altra cosa la carenza atavica di personale di cui il sistema sanitario italiano soffre da tempo. È bastata un’influenza stagionale più violenta del solito per far ripiombare gli operatori nell’incubo vissuto tra il 2020 e il 2021 e per sottolineare una volta in più quanto sia grave la criticità, acuitasi ulteriormente negli ultimi anni. Anche a fine 2023 le Regioni hanno ribadito al Governo l’urgenza di intervenire. Sono circa 4500 i medici in meno rispetto al fabbisogno stimato e oltre 10mila gli infermieri che mancano per soddisfare la richiesta minima in tutte le strutture pubbliche. Dati che si ripercuotono inevitabilmente sulla qualità dell’assistenza al malato oltre che, come visto in questi mesi, sulle condizioni di lavoro del personale stesso.