Con la consulenza di Susanna Cordone, Professoressa di Psicologia Generale a UniCamillus
Le notizie di cronaca che parlano di bullismo e discriminazioni nei confronti di chi vuole vivere in libertà la propria sessualità sono all’ordine del giorno. Nel 2024, la collettività non si mostra ancora inclusiva nei confronti di chi non rispetta i numeri di maggioranza nelle statistiche, e questo pesa ancora di più nei confronti delle scelte sessuali, che siano di genere o di orientamento, perché il sesso è un argomento ancora tabù, nonostante l’ipersessualizzazione dei valori. Una libertà di facciata, la nostra, che viene accettata solo se rispetta dei binari prestabiliti.
La vita non è semplice per chi in questi binari non vuole rientrare, ed è anche il caso dei transgender, ossia coloro che vivono un’incongruenza tra il sesso biologico assegnato alla nascita e la propria identità psicologica: vivere nel corpo di una donna sentendosi un uomo, o viceversa.
«Occorre però distinguere l’incongruenza dalla disforia di genere – specifica Susanna Cordone, docente di Psicologia Generale presso UniCamillus – L’incongruenza può essere definita come una condizione in cui l’identità di genere di una persona non è allineata con il sesso assegnato alla nascita, mentre la disforia si riferisce alla sofferenza e al disagio derivante da tale disallineamento». Non a caso, una condizione fondamentale per diagnosticare la disforia di genere, negli adulti come nei bambini, per il DSM-V-TR® (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, quinta edizione, Text Revision), stabilisce, tra gli altri, anche un forte senso di angoscia e sofferenza che accompagna questo sfasamento tra realtà fisica e percezione di sé.
Questa distinzione doverosa è fondamentale per comprendere che non tutti i transgender sperimentano una disforia di genere.
La disforia di genere può cominciare da bambini
Questa sensazione può nascere fin da bambini, tanto che il già citato DSM-V-TR® distingue i criteri diagnostici per gli adolescenti/adulti separati da quelli concernenti i bambini. «È stato osservato in alcuni studi che l’età in cui si intensificano i cambiamenti ormonali, comportamentali e sociali legati alla pubertà (dai 10 ai 13 anni) sembra essere un periodo chiave nella persistenza o nella cessazione della disforia di genere – spiega la Cordone – La disforia di genere, infatti, può fluttuare nel corso del tempo, con diminuzione o intensificazione repentina o progressiva. È proprio questo il motivo per cui la fase diagnostica può iniziare soltanto a partire dalla pubertà e può perdurare per molto tempo. L’intera valutazione, che tiene conto di moltissimi parametri, rappresenta il passo più delicato nella costruzione di un percorso di identità in un individuo con incongruenza di genere».
La diagnosi certa, dunque, non può essere definitiva in tenera età, considerando che l’esplorazione della propria identità sessuale è un «processo normale dello sviluppo che si stabilizza con il passare degli anni», come sottolinea la nostra esperta.
L’incongruenza non per forza abbraccia tutti gli aspetti dell’espressione di genere: ad esempio, ci sono uomini che, sentendosi donne, possono voler affermare il proprio genere percepito solo indossando abiti femminili e assumendone gli atteggiamenti corporei; donne che potrebbero desiderare essere chiamate con pronomi maschili; persone che iniziano un vero e proprio percorso medico (terapie ormonali) e/o chirurgico (cambio di sesso). I casi sono sempre molto personali, in base a ciò che meglio rispecchia la propria identità sentita. Tuttavia, è più probabile che, «con l’avanzare dell’età e con il pieno sviluppo ormonale, aumenti il desiderio di liberarsi dalle proprie caratteristiche sessuali e di acquisire le caratteristiche sessuali del genere opposto».
Parlando di orientamento sessuale, tuttavia, occorre precisare che la disforia di genere non è collegata direttamente alla scelta del partner. «Un individuo con disforia di genere potrebbe avere un orientamento eterosessuale, omosessuale o bisessuale, o non dichiararlo» afferma la Cordone.
Diventare se stessi: una strada difficile
Tuttavia, per quanto il cambio di genere possa essere liberatorio per chi vi ambisce, non è assolutamente un percorso semplice: vi è quasi sempre una strada tortuosa fatta di accettazione di sé, di incertezze, di tentativi di reprimersi. «Se un individuo, a seguito di diagnosi di disforia di genere e dopo accurata valutazione da parte dell’equipe multidisciplinare, è considerato idoneo alla transizione di genere, il supporto psicologico dovrebbe accompagnare tutte le fasi del percorso – afferma la Prof.ssa Cordone – Oltre ai disturbi psicologici legati all’incongruenza di genere (ansia, depressione, ecc), il percorso di transizione rappresenta un mutamento che abbraccia interamente l’individuo: le terapie ormonali e i possibili effetti avversi, la durata degli interventi, la percezione del proprio corpo in transizione, l’eventuale irreversibilità dei trattamenti e anche il pensiero e il giudizio degli altri sono soltanto alcuni dei disagi cui si potrebbe andare incontro durante gli anni della transizione».
Come si può facilmente evincere, si tratta di un argomento molto complesso, in cui l’errore più grande è proprio cercare delle definizioni. Definizioni che incasellano, ibernano la libertà individuale, imprigionando i desideri di un essere umano all’interno di qualche sillaba e di tutto lo stigma sociale dovuto a quell’ignoranza che è terrorizzata dall’unicità di ognuno di noi. Purtroppo, a pagare le conseguenza dei vincoli collettivi di pensiero, sono coloro a cui viene assurdamente vietato di vivere ed esprimere come desiderano la propria identità: la disforia di genere, come già accennato, è sempre accompagnata da sintomi quali ansia e depressione.
Per fortuna, per quanto lenta, l’evoluzione della mentalità è in atto. «Certamente la società ha fatto dei passi avanti, sebbene non si possa ancora parlare di totale abbandono dello stigma legato al transessualismo» spiega la Cordone, che aggiunge l’importanza del ruolo della famiglia e della rete amicale nel sostenere l’individuo alla ricerca del proprio vero sé: «le reti sociali e i gruppi di appartenenza rappresentano una cornice fondamentale per i bambini o i ragazzi che sperimentano incongruenza di genere. La visione del Sé, l’autostima e lo sviluppo psicosessuale e dell’identità sono, inevitabilmente, anche il risultato delle nostre relazioni. Il sostegno emotivo di amici e familiari dovrebbe essere volto all’ascolto, all’osservazione e all’assenza di giudizio in tutte le fasi decisionali relative ad un eventuale percorso di transizione». Ovviamente la famiglia non può sostituirsi alle competenze degli esperti, ma deve limitarsi a far sentire al proprio caro tutto l’affetto a prescindere dalle sue scelte personali.
Come sottolinea la Prof.ssa Cordone, «l’obiettivo di un eventuale intervento non è quello di cambiare l’identità di genere, ma ridurre il disagio e la sofferenza causata dall’esperienza della disforia. L’allineamento tra il genere di nascita e quello che si desidera è un diritto di tutti gli esseri umani», esattamente come la ricerca del proprio equilibrio e della propria felicità.