I due premi arrivati la scorsa settimana da Align Technology hanno dato grande lustro alla ricerca di UniCamillus nel campo dell’odontodonzia. Ad essere premiati sono stati i lavori portati avanti dalla Professoressa Roberta Lione, che non nasconde la soddisfazione di veder riconosciuti e apprezzati gli sforzi di oltre 4 anni di attività di laboratorio e sul campo. “L’azienda americana ha premiato con dei finanziamenti alla ricerca solo 4 progetti in tutta Europa. Il fatto che due di questi siano arrivati all’Università UniCamillus per i miei progetti è motivo di grande orgoglio”.
I due studi che sono stati premiati si intitolano “Effetti dell’IPR mediante sistema di strisce oscillanti meccaniche su strutture biologiche: una valutazione qualitativa” (originario in inglese, “Effects of IPR by mechanical oscillating strips system on biological structures: a qualitative evaluation”, ndr) e “Valutazione cefalometrica della distalizzazione sequenziale mandibolare con Invisalign in pazienti di classe III (“Cephalometric assessment of mandibular sequential distalization with Invisalign in Class III patients”, ndr). In che cosa consistono materialmente tali ricerche lo spiega lei stessa.
Professoressa Lione, di che cosa trattano le sue ricerche?
“Detta in parole semplici, la prima è una procedura operativa che può essere applicata per una patologia piuttosto comune, quale quella dell’affollamento dentale con i conseguenti denti storti. Il secondo protocollo di ricerca apporta invece aspetti innovativi nelle procedure per la rimozione dei denti, in arcata inferiore. Si tratta comunque di due filoni distinti. Quello sugli IPR è un lavoro che va avanti da tempo e che mira a standardizzare una procedura clinica largamente diffusa: la riduzione interprossimale dello smalto, cioè è una delle procedure più comuni in assoluto, praticate per poter recuperare lo spazio necessario per riallineare i denti. L’altro lavoro invece è più recente e punta a evidenziare un qualcosa di completamente innovativo, per trattamenti che prima non si facevano”.
Quali sono gli elementi innovativi che le sue ricerche propongono?
“Prendiamo il caso di un paziente che necessita cure per farsi rimettere i denti dritti. È chiaro che se li ha storti è perché manca lo spazio necessario tra un dente e l’altro. L’IPR permettere di recuperare questo spazio. La tecnica consiste nel passare delle strisce abrasive, per ridurre lo spessore dei denti di circa 0,2 millimetri. Detta così, una prima reazione da parte dei pazienti potrebbe essere quella del timore di esporsi maggiormente ad altre problematiche, come ad esempio le carie, per via della riduzione dello spessore dello smalto. Nella nostra ricerca invece abbiamo dimostrato che, effettuando la procedura attraverso il sistema che proponiamo, non c’è alcun tipo di danno all’integrità dello smalto e, soprattutto, è una procedura che può essere protocollata anche in termini di quantità di smalto da ridurre. Nella programmazione digitale infatti il medico può, appunto, programmare in maniera precisa l’esatto spazio che serve tra i denti per sistemarli. Ma poi la trasposizione in una realtà clinica deve essere fatta attraverso un protocollo specifico. Ed è proprio questo ciò che abbiamo fatto noi. L’aspetto della nostra ricerca è quindi duplice: da un lato dimostra la sicurezza della procedura nei confronti del paziente, dall’altro dà ai medici la garanzia di poter mettere in pratica con maggior precisione quello che è stato programmato. Nel nostro lavoro abbiamo codificato tutte le fasi e provato clinicamente la procedura per poterla standardizzare, portandone l’utilizzo su larga scala.
Nel lavoro sulla Valutazione cefalometrica della distalizzazione sequenziale mandibolare andiamo invece a valutare la possibilità di effettuare tipologie di intervento che prima con la terapia fissa non si facevano, ma che ora con gli allineatori sembra si possano fare. E questo è ciò che andrà verificato nei prossimi passi.
Qual è la prospettiva che lei si è posta nel portare avanti questi due lavori?
“La prospettiva più bella in campo clinico, per i ricercatori come me, è quella di poter dare ai colleghi medici degli strumenti basati su evidenza scientifica, impiegabili nella generalità dei casi, e che non siano invece individualizzati o basati su peculiarità. Nell’odontodonzia siamo sempre molto carenti di evidenze scientifiche. Fornirne qualcuna in più è la mia più grande aspettativa”.
Quanto è stato importante poter lavorare in UniCamillus per portare avanti questi suoi progetti?
“La cosa bella di UniCamillus è che, essendo un’Università più piccola e dedicata specificamente alle materie medico-scientifiche, permette ad un protocollo di ricerca come il mio di non disperdersi. In atenei più grandi e multidisciplinari ogni aspetto nel settore della ricerca diventa inevitabilmente più dispersivo. In UniCamillus invece l’odontoiatria è una delle punte di diamante della ricerca e degli studi. Qui c’è dunque la possibilità di vedere un riconoscimento e una valorizzazione del ruolo del ricercatore, che altrove è più difficile ritrovare. Il fatto che quella di Odontoiatria sia generalmente una facoltà piccola, tendenzialmente a numero chiuso e che comunque non tratta materie come la lotta ai tumori o la fisica quantistica, spesso porta i filoni di ricerca in questo campo a perdersi nel mare magnum delle grandi università. Viceversa qui anche il mio campo di lavoro ha potuto ricevere la giusta attenzione per poter essere portato avanti fino a ottenere questi premi”.